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Compiti sì, compiti no. Il dilemma dell'estate... a scuola

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            È stato un secondo quadrimestre durissimo. Per i bambini, gli insegnanti e le famiglie. Anche invertendo l'ordine degli addendi il risultato non cambia. E non si vuol far torto a nessuno. Tutti, in egual misura, si sono impegnati per far fronte ad un'emergenza che nel XXI secolo – nel nostro contesto di diritti fondamentali acquisti e di un discreto “benessere” sociale – non avremmo mai immaginato potesse coinvolgerci.
 
            Adesso, a scrutini quasi fatti, ecco la nuova querelle dell'estate. Se sia giusto o sbagliato dare i compiti, quanti, quali e... con quali modalità! E certo, non sia mai che si debba rinunciare alle tanto acclamate piattaforme che l'animatore digitale ha messo in piedi in così poco tempo, ciascuno per la propria scuola. Ma sulla piattaforma virtuale per i compiti estivi diremo poi.
 
            Facciamo un passo indietro. Come ho detto più volte, anche in altri contesti – e mi vien facile ribadirlo anche qui – mi trovo a vivere il dibattito da due punti di vista: da madre e da insegnante. Bene, da madre ho detto no, per esempio, agli esercizi di grammatica che la maestra di mia figlia avrebbe voluto dare per l'estate. Per diverse ragioni: prima di tutto ha chiesto un parere alle famiglie e secondo me gli insegnanti non dovrebbe farlo (so che potrei risultare molto impopolare, ma a ciascuno il proprio mestiere); secondo: sono fortemente convinta del fatto che proprio per l'emergenza di cui sopra i nostri ragazzi non abbiano bisogno di ulteriore esercitazioni, ma solo di letture all'aria aperta. La riscoperta della gioia di leggere e scrivere, magari, va di pari passo con camminate in montagna, lunghe visite ai parenti e agli amici, piccole scoperte e conquiste scientifiche sulla sabbia, in acqua, nella terra. Giocare è la parola d'ordine. Sperimentare, giocando. E ritrovare il tempo-qualità con la propria famiglia. Oggi, più che mai, quale mamma o quale papà ha voglia di mettersi accanto al proprio figliolo o alla propria figliola, indice puntato sul quaderno degli esercizi o sul libro, e via a far ripetere regole di grammatica e coniugazioni del tutto avulse dal contesto d'uso?
            Proprio da qui parte il terzo punto; se l'importanza della mnemotecnica è oramai acclarata, anzi, un'inversione di tendenza sta portando gli educatori e i maestri delle elementari a rivalutare l'esercizio della memoria (che fino a qualche tempo fa era passato in secondo piano perché visto come strumento coercitivo e del tutto fine a se stesso), è pur vera la seguente considerazione: a quanto serve uno sforzo del genere, fatto con l'aiuto del genitore, in un periodo di forte stanchezza, laddove sarebbe meglio lasciar sedimentare le nuove conoscenze e riattivarle con l'inizio del prossimo anno scolastico? Succede così, un po' come con le regole che governano l'acquisizione di una seconda lingua: molto dell'apprendimento è relegato alla dimensione socio-affettiva (in famiglia, la lingua degli affetti è quella che veicola i primi messaggi e offre i primi strumenti per apprendere).
 
            Dunque, mi spiego: se insegnare la lingua madre sta alla figura genitoriale, ad attivare le conoscenze pregresse in campo educativo-didattico basta un clic del maestro o della maestra, che con i loro metodi, la loro voce e la spinta motivazionale del contesto classe riescono ad arrivare laddove i genitori non arrivano. Si crea un rapporto di fiducia bilaterale, io do l'input, il bambino risponde, in un contesto del tutto “protetto” e di stimolo (al netto di  una relazione virtuosa e vissuta in modo produttivo e proficuo.) Questo meccanismo porta all'elicitazione, da parte dell'insegnante, della conoscenza e della competenza apprese in modo spontaneo e naturale. Un genitore non potrà mai sostituirsi al docente (anche se in alcuni casi e contesti ultimamente qualcuno lo ha fatto in modo egregio): in condizioni di normalità, il riconoscimento di questo ruolo da parte del figlio o della figlia, infatti, è tale, appunto, solo rispetto all'educatore ed è nei confronti di quest'ultimo che vengono attivati i processi di memoria, input, rielaborazione dell'input, emulazione/autocorrezione.
 
            Porto un esempio banale ma molto significativo. La mia bambina, 8 anni, seconda elementare, sbagliava spesso le maiuscole, nel senso che riportava nomi propri e toponimi in minuscolo. Io, insegnante di italiano, non ho mai voluto correggere i suoi errori. All'inizio dell'elaborato dicevo solo: “ricorda le maiuscole”. Non sono la sua maestra e non ho quel rapporto esclusivo di fiducia che di certo loro hanno costruito con fatica (e con successo) nell'arco di questo anno e mezzo. Bene. In questo periodo di emergenza Covid è arrivata la correzione di un paio di suoi elaborati. Preciso che il problema sussisteva sia in inglese, sia in italiano e la fortuna vuole che la maestra sia la stessa per entrambe le discipline: è bastato un “remember capital letters!” scritto dall'insegnante, e mia figlia ogni volta che scrive non commette più questo tipo di errore. L'errore è stato individuato e corretto grazie all'intervento della maestra riconosciuta nel suo ruolo. A volte ho sentito mia figlia ripetere a se stessa “capital letter!”  (In questo caso, per esempio, la bimba non ha fatto altro che attivare il processo di decodifica del messaggio dato in lingua inglese, idioma con il quale è evidentemente portata a identificare questa insegnante).
 
            Credo che questo rapporto non vada scalfito e scavalcato; è per questo che i compiti da dare debbono limitarsi ad esercizi creativi, compiti autentici o di realtà (che vanno tanto di moda oggi) e serene letture all'aria aperta, magari, quello sì, condivise con genitori,  fratelli o sorelle più grandi. Questo vale sempre, oggi ancora di più.
            Inoltre, e non è un aspetto da poco, le regole bisogna usarle. I nostri ragazzi hanno imparato regole nuove, facciamo in modo che le usino in testi scritti da loro, in assoluta libertà e in contesti lontani dal “concetto scuola”!
 
            C'è anche il dibattito se utilizzare o meno le piattaforme estive per erogare compiti ed esercitazioni. Il mio è un sonoro no. Molti insegnati (compresa la sottoscritta) lasceranno la piattaforma aperta fino al 30 di giugno per consentire agli alunni di “scaricare” con tutta calma quanto non hanno potuto scaricare nella seconda parte dell'anno, e recuperare così il materiale rimasto in accumulo. Purtroppo è un dato di fatto che le piattaforme e le lezioni virtuali abbiano avuto come principale ostacolo l'accesso o meno alla rete, e questo è stato fortemente penalizzante nei confronti di una fascia, se pur esigua, di studenti e studentesse.
           
            Quindi, se è giusto tenere “aperta” la piattaforma fino alla chiusura totale dell'anno scolastico in corso – e sicuramente è bene farlo - non vedo l'esigenza di inviare ulteriori compiti e materiali utilizzando questa modalità. Due le ragioni fondamentali, facilmente intuibili e mi meraviglio di chi non riesce proprio a comprenderle: primo, per i motivi di cui sopra, la rete è ancora elitaria ed esclusiva (tanto più che alcuni italiani si muoveranno sul territorio nazionale, o addirittura all'estero, quindi non sarà sempre garantita la copertura); secondo, i nostri fanciulli e le nostre fanciulle devono in modo perentorio e assoluto riposare gli occhi e non solo; la postura davanti al pc o a qualsiasi dispositivo informatico reca danni a lungo termine che possiamo ben immaginare (alla schiena, agli arti superiori, al collo, ecc.). Non ultimo: gli studenti devono poter riprendere i contatti con la vita reale e con la natura. Sì, ai compiti di realtà. No, ai compiti in casa e soprattutto on line.
Prof.ssa Ughetta Lacatena
Docente di Lettere e referente per l’Orientamento, Formatrice 
 
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