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Seconda ondata. Seconda on-dad.

← torna alle news martedì 17 novembre 2020

La chiamano DDI. Qualcuno (me compresa) si ostina a chiamarla ancora DAD, perché di fatto  - nel mio caso – non c'è didattica mista, non c'è integrazione, è tutto di nuovo on line, salvo il caso delle prime medie che sono tutte in presenza (poverine! Guardano alle loro colleghe più vecchie con una certa invidia, perché DAD significa per i più grandi playstation fino a notte fonda e svegliarsi tardi).


Sono a scuola anche l'infanzia e la primaria. Le superiori, quelle sì, erano in didattica mista (DDI Didattica Digitale Integrata) già prima del nuovo DPCM, una forma di didattica a settimane alterne, per dividere classi numerose nelle quali i banchi a rotelle non sono mai arrivati o non sono potuti mai entrare per eccesso di rime buccali.

Poi ci sono le classi in quarantena, o – nelle scuole più zelanti  - gli alunni in quarantena perché figli di positivi al covid, che seguono da casa. Irrompono dalla LIM salutando i compagni nelle aule. Per queste classi la definizione DDI è proprio quella giusta.

 

Chiedevo ad un'alunna di definire la strofa che è costituita da quattro versi; mi ha risposto “quarantina”. Seriamente.

 

Purtroppo - seriamente – non ne usciamo. Non riusciamo ad uscirne neanche quando vorremmo, neanche quando potremmo farlo grazie a quel mondo magico della poesia e della letteratura che fa vibrare persino le pareti dell'aula in cui si insegna. Perché certe volte si crea davvero una sorta di “alchimia” tra alunni, alunne e insegnanti, alchimia che poi diventa il volano, il sodalizio vincente per l'apprendimento. Per molti – direi per tutti anche se difficilmente alcuni ragazzi lo ammetterebbero – la classe è la propria comfort zone, è il luogo deputato all'insegnamento, è serietà, compostezza, giudizio, valutazione del proprio operato (ed è giusto che sia così), è l'attivazione di un meccanismo mentale che va nella direzione del “io oggi sono qui per imparare”; per alcuni, aggiungo, vera e propria una salvezza.

 

In un'aula si impara persino in modo sano a copiare. Inorridisco davanti a quell'articolo che parla di un'alunna bendata durante un'interrogazione a distanza: oltre a costituire oltraggio alla persona fisica, è pure un tentativo sterile di coercizione. Capiamoci bene: chi non sa studiare non sa copiare. E un/una prof che sa insegnare non metterà mai l'alunno nella condizione di copiare vuote definizioni da un test a risposta multipla che non abbia della sostanza su cui discutere (e approfondire).  

 

Dunque, non ne usciamo.

Estraniarci è diventato un lusso. E il cane che abbaia dietro la telecamera, il fratellino che piange, la mamma che spadella in cucina (nella migliore delle ipotesi), la mancanza di giga o di mezzi tecnologici (nella peggiore), genitori disattenti e distratti nel quadro prossimo alla disperazione e al disagio sociale.

 

Avevo scritto in un vecchio articolo che a siffatte condizioni (igiene, sicurezza, presidii/dispositivi inadeguati o assenti)  non si sarebbe potuti tornare tra i banchi di scuola a settembre. Purtroppo le condizioni non sono cambiate di molto, e a queste si è aggiunta una macchina burocratica del tutto aleatoria, incompleta, con protocolli covid che fanno acqua da tutte le parti, mal interpretati, mal applicati, ignorati. Molto, invece, hanno fatto gli insegnanti per garantire standard minimi di sicurezza. E dopo aver detto ai ragazzi e alle ragazze di indossare la mascherina, quella chirurgica mi raccomando, di non toglierla neppure in modalità statica, di fare l'intervallo da seduti, di sanificare qualsiasi oggetto prima di passarlo all'insegnante o a un compagno, di igienizzare le mani, ecc. ecc. ecc., adesso – dal 6 novembre – si dice loro di restare a casa, di condividere giga e abitudini con i propri congiunti, di ricominciare con la didattica a distanza.

 

La scuola è una comunità e come tale sottostà a regole precise. Lockdown, tutti a casa. Salvo infanzia, primaria e prima media perché è pressoché impossibile lasciare a casa da soli studenti e studentesse di quell'età. E i genitori devono andare al lavoro. Bisogna salvare l'economia dell'hic et nunc. Così facendo però stiamo ammazzando la fascia produttiva del futuro.

Genitori al lavoro, figli piccoli a scuola, figli medi in DAD (che a ben guardare non è legale lasciar soli, se ancora non hanno compiuto 14 anni).

 

La DAD non è la risposta. La scuola è una comunità e come tale segue il trend dei contagi; purtroppo gli alunni portano il covid a scuola ma è molto, molto difficile che nella scuola stessa se lo possano trasmettere, a causa delle rigide regole che gli insegnanti, al di là dei protocolli, fanno applicare in classe.

Il problema è la tracciabilità; il problema è prendere il covid al parco e non essere tracciato, è perpetrare occasioni di incontro fuori la scuola (e lasciando tutti a casa, in un lockdown che sa di soft, questi incontri sono inevitabili - complice un autunno lungo quanto la primavera del primo lockdown-).

Chiudere la scuola equivale a perdere nostri i ragazzi e le nostre ragazze. Non tutti, ma molti di loro e già questo, nella scuola dell'obbligo, è una sconfitta. Perdiamo alunni fragili, che hanno la volontà ma non i mezzi, quelli ai quali la madre dà dei lavori da fare (pulire casa, fare la spesa o badare alla sorella più piccola, perché il diritto allo studio in alcune culture non è così scontato), perdiamo quelli già latitanti in classe, figuriamoci ora. Tanto sanno che vengono promossi.

E qui (è il caso di dire) casca l'asino. Perché passi o caschi il primo lockdown, ma il secondo non può avere il sapore del primo e "giustificare" quelli che in questo limbo ci sguazzano: li roviniamo due volte, roviniamo i fragili (che non hanno mezzi ma che vorrebbero) e roviniamo gli imbelli, mandati avanti ed equiparati a chi si fa il mazzo. E questi secondi rovineranno l'intera società e la faranno precipitare nel baratro.

Se si vuole salvare l'economia, salviamo la scuola come istituzione concreta, come luogo fisico dove esercitare il sacro santo diritto ad essere istruiti.

 

 

Ughetta Lacatena, docente di lettere, referente per l'Orientamento, formatrice

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