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La disgrafia: Parte 2

← torna alle news lunedì 12 ottobre 2020
Le cause
Come detto, sulle cause non ci sono certezze assolute, con un certo grado di pareri discordanti nella letteratura scientifica.
Alcuni considerano la disgrafia come un sintomo della disprassia (incapacità di compiere gesti, siano essi simbolici o di adeguato utilizzo degli oggetti), perché impedisce al bambino di rappresentare, programmare ed eseguire volontariamente degli atti motori consecutivamente.
 
Si possono riscontrare disturbi della scrittura anche a seguito di un Disturbo della Coordinazione Motoria (DCD), ma un disgrafico non necessariamente presenta anche questa patologia.
 
Alcuni studi, evidenziano una correlazione con le alterazioni della motricità fine (i piccoli movimenti delle mani, delle dita, o dei muscoli della faccia e della bocca). Infine, anche le alterazioni funzionali neurobiologiche in alcune zone corticali e sub-corticali implicate nel processo di scrittura potrebbero provocare la disgrafia. Così come le difficoltà cognitive, che influenzano di più la memoria visiva: i bambini disgrafici sono incapaci di ricordare in modo accurato le immagini visive delle lettere dell’alfabeto e mostrano difficoltà nell’organizzazione delle idee per comporre un testo scritto.
 
Gli esperti, quindi, raccomandano di eseguire una valutazione precisa e dettagliata, che proceda per esclusione e che valuti attentamente tutti i possibili profili disfunzionali, in modo da giungere ad una diagnosi esatta del disturbo.
 
Le conseguenze della disgrafia
La disgrafia, in quanto disturbo specifico dell’apprendimento, ha un impatto importante anche a livello individuale e sociale.
 
I bambini con DSA hanno difficoltà di inserimento e di socializzazione, sono timidi e poco partecipativi.
 
Naturalmente ne risente anche il rendimento scolastico. I bambini disgrafici vivono esperienze negative, si sentono frustrati e perdono motivazione. Da un punto di vista socio-emotivo, i bambini che si trovano a vivere tali esperienze tendono ad impegnarsi di meno nei compiti che richiedono la scrittura. Soffrono per il fallimento e perdono autostima. In questo modo si genera una spirale negativa nella performance scolastica, aggravata magari dai rimproveri degli adulti che, non riconoscendo il disturbo, tendono a considerare il bambino svogliato, negligente o pigro.
 
I percorsi educativi
Da quando la disgrafia (insieme a dislessia, disortografia e discalculia) è stata riconosciuta come disturbo specifico dell’apprendimento, il Ministero dell’Istruzione ha emanato alcune linee guida per mettere le scuole in grado di realizzare percorsi individuali e garantire il diritto allo studio anche per questi bambini con Bisogni Educativi Speciali.
 
Si chiamano piani didattici personalizzati e sono i documenti di programmazione con i quali la scuola deve definire (entro il primo trimestre scolastico) gli interventi che intende mettere in atto nei confronti degli alunni con esigenze didattiche particolari ma non riconducibili alla disabilità.
 
Il tutto anche con l’aiuto dei cosiddetti strumenti compensativi, cioè  strumenti didattici e tecnologici che sostituiscono o facilitano la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria, senza peraltro facilitargli il compito dal punto di vista cognitivo. Ad esempio:
 
  • la sintesi vocale, che trasforma un compito di lettura in un compito di ascolto;
  • il registratore, che consente all’alunno o allo studente di non scrivere gli appunti della lezione;
  • i programmi di video scrittura con correttore ortografico, che permettono la produzione di testi sufficientemente corretti senza l’affaticamento della rilettura e della contestuale correzione degli errori;
  • la calcolatrice, che facilita le operazioni di calcolo.
 
(Fonte: State of Mind - Giornale delle Scienze Psicologiche; Ministero dell’Istruzione)
 
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