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Il linguaggio che la scuola non insegna

← torna alle news giovedì 25 maggio 2023
Autore: Mastergenitori
 I più “agè” tra i lettori ricorderanno l’appellativo matusa, con cui giovani e adolescenti bollavano gli adulti, qualche decennio fa.
“Matusa” era il diminutivo di Matusalemme.
Oggi si usa “boomer”.
 Tra generazioni, c’è sempre stato un gioco di incomprensione reciproca quasi scontato.

 
La differenza è che OGGI se ne parla molto di più. Se ne DEVE parlare, perché il mondo adolescenziale è un coacervo di ribellioni e malesseri diffusi, condivisi e amplificati dai social.
 
Lo slang della generazione Z (i nati tra la fine degli anni ’90 e il 2012) utilizza termini come “cringe”, hangover, ghostare, friendzone.
Neologismi mutuati dall’inglese che, in un’Italia in cui i “boomer” (spesso) non hanno grande dimestichezza con le lingue, creano distanza e mettono scudi protettivi contro intromissioni e giudizi esterni. Ma è facile leggere nell’esclusione, le incertezze profonde proprie di un’età “scoperta”.
 
Oggi, la distanza è più pericolosa di ieri. Gli episodi di bullismo, * trasmessi in mondovisione, non lasciano scampo alle vittime. Il body shaming è una piaga dilagante. L’isolamento subito durante la pandemia ha lasciato strascichi pesantissimi. Tra cui depressioni e sindromi come quella di Hikikomori, che porta chi ne soffre a chiudersi in camera rifiutando qualunque aiuto.
 
Come acquisire o recuperare un ruolo di riferimento magari non perduto, ma solo sbiadito?
 
Sembra ovvio dire che la chiave stia nella comunicazione e, quindi, nel linguaggio da usare con i propri figli.
 
Il problema, però, è tutt’altro che semplice o formale perché oltre ai contenuti, il linguaggio del corpo, la gestualità, il tono stesso delle parole fanno tutta la differenza del mondo.
 
Master Genitori consiglia
- Imparare a gestire le proprie emozioni in modo che, dal proprio atteggiamento, traspaia equilibrio, solidità e tranquillità interiore. Ansia e preoccupazione non depongono a favore di un dialogo aperto e sincero. Gli adolescenti hanno bisogno di una figura genitoriale in ascolto, che sappia dialogare ma anche guidare.
- Accogliere, ascoltare, non giudicare, non sbuffare e non alzare mai gli occhi al cielo. Equivarrebbe a trattare con sufficienza gli argomenti dei nostri figli.
- Evitare i conflitti, trattenere l’istinto dell’imposizione ad ogni costo e/o della paternale che non funzionano.
- Mostrare interesse e curiosità verso le passioni e le attività dei ragazzi. È segno di rispetto. E rispetto chiama rispetto.
- Non cercare di utilizzare termini a cui non si è abituati, per creare una forzata complicità.
- Ma conoscerne il significato per non perdere il filo… e la pazienza.
- E quando c’è bisogno di un no, che no sia, sostenuto da motivazione e coerenza.
 
Sembrano equilibrismi. Ma sono una vera e proprio lingua fatta di espressioni che, per far parte della vita dei figli, è necessario imparare.
 
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